Indice
ANELLO DI GRAVESANDE
introduzione
L’anello di G. consiste in una sfera d’ottone, una lega in rame e zinco, appesa ad una catenella collegata ad un supporto, il tutto poggiato su una base fissa. Sul supporto è possibile andare ad inserire un apposito anello (da qui, il nome “anello di Gravesande”), regolabile in altezza.
Quando la sfera è alla temperatura della stanza, riesce a passare attraverso l’anello. Sulla base si può mettere, sotto questa sfera, una fonte di calore (tipo un becco bunsen). Dopo qualche minuto che la si riscalda, ecco che la fisica entra in azione: la sfera non passa più dall’anello perché ha subito il fenomeno della dilatazione termica. Se si aspetta un po’ di tempo, la temperatura si abbassa e la sfera si contrae, tornando alle dimensioni originali.
Dilatazione termica dell’anello di Gravesande
Poiché l’espansione avviene in tutte e tre le dimensioni, si parla di dilatazione termica cubica(o volumica); invece, quando l’espansione interessa molto più una dimensione rispetto alle altre due, si dice dilatazione termica lineare e, infine, quando sono interessate due dimensioni su tre si ha la dilatazione superficiale. In realtà, è solo una definizione in quanto l’espansione riguarda sempre tutte le dimensioni, anche se magari una (o due) più delle altre. Per prevedere di quanto si espanderà un dato materiale, puoi applicare la seguente formula:
ΔL=L0αΔT
- ΔL è la variazione in lunghezza dell’oggetto
- L0 la sua dimensione iniziale
- α è il coefficiente di dilatazione termica lineare
- ΔT è la differenza di temperatura (nell’anello di s’Gravesande è di circa 1600°C)
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LEGGE DEI PUNTI CONIUGATI
descrizione
La legge dei punti coniugati permette, conoscendo la posizione di un oggetto posto di fronte ad uno specchio, di determinare la posizione in cui verrà proiettata la sua immagine virtuale o, viceversa, conoscendo la distanza dell’immagine dallo specchio è possibile risalire alla posizione dell’oggetto. Questa legge lega tra di loro 3 elementi: 1. La distanza di un oggetto rispetto ad uno specchio “p” 2. La distanza dell’immagine dell’oggetto che si forma dallo specchio“q” 3. La distanza focale “f” che rappresenta metà del raggio di curvatura dello specchio, R/2
La formula
L’equazione dei punti coniugati è:
(1/p) + (1/q) = 1/f
Ricordando che la distanza focale “f” è pari alla metà del raggio di curvatura R di uno specchio sferico, l’equazione dei punti coniugati può essere riscritta come:
(1/p) + (1/q) = 2/R
L’equazione dei punti coniugati vale sia per specchi concavi sia per quelli convessi, con la convenzione che per uno specchio concavo il raggio R è positivo, mentre per uno specchio convesso lo si pone negativo, dato che il fuoco si trova dalla parte opposta rispetto all’oggetto da riflettere, quindi il fuoco stesso è virtuale.
Avremo allora che per uno specchio concavo la legge dei punti coniugati è:
(1/p) + (1/q) = 2/R
Mentre per uno specchio convesso è:
(1/p) + (1/q) = - 2/R
L'ingrandimento
Si definisce ingrandimento il rapporto tra le dimensioni lineari dell’immagine (h) e quelle dell’oggetto di partenza (h1):
G = h/h1
Se l’oggetto da cui partono i raggi, che arrivano fino allo specchio e poi vengono riflessi, viene considerato esteso, possiamo confrontare tra di loro le dimensioni dell’immagine virtuale e reale dell’oggetto.
In generale si ha che nel caso di un oggetto posto ad una distanza maggiore di R in uno specchio concavo, allora l’immagine sarà rovesciata e si formerà tra l’oggetto e lo specchio. Nel caso di specchio convesso invece l’immagine si formerà al di là dello specchio e sarà un’immagine diritta rispetto a quella dell’oggetto sorgente.
Tale ingrandimento è pari a:
G = - (q/p) = - f/ (p-f)
Se l’ingrandimento risulta positivo, allora l’immagine è dritta rispetto all’oggetto, mentre se risulta negativo allora l’immagine risulterà capovolta.
Il caso dello specchio piano e la legge dei punti coniugati
Lo specchio piano può essere visto come caso limite di uno specchio sferico concavo o convesso quando il raggio di curvatura diventa molto grande e quindi tende ad infinito.
In tal caso, infatti, il fuoco pari a metà del raggio anche esso tenderà ad infinito; l’oggetto si troverà dunque sempre tra fuoco e vertice e l’equazione dei punti coniugati si riduce a: p/q
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IL TUBO DI CROOKES
descrizione
Il tubo di Crookes è un particolare tubo vuoto di vetro, a forma di cono, che presenta 3 elettrodi: 1 anodo e 2 catodi. Il nome dello strumento si deve al suo inventore, il fisico William Crookes. Questi è il precursore del tubo catodico. All'estremità stretta del cono di vetro si trova il polo negativo, chiamato catodo, che produce gli elettroni. Sull'estremità opposta è posizionato l'anodo, ossia il polo positivo. Ai due poli viene collegato un generatore di alta tensione. Tra il catodo e l'anodo è posta una piccola lastra metallica ritagliata con una determinata figura (negli esperimenti di Crookes era solitamente una croce di Malta, da qui tubo a croce), in modo tale che funga da maschera d'ombra.
Il tubo di Crookes è stato costruito inizialmente per studiare gli effetti della luminescenza del fosforo osservati nel tubo di Geissler: infatti nel vuoto qualsiasi materiale fosforescente eccitato e a bassa pressione irradia luce, ma solo ad una estremità del tubo. L'eccitazione del fosforo fu definita da Crookes sotto il nome di raggio catodico, ora interpretato non come raggio ma piuttosto come insieme di particelle elementari, gli elettroni.
Funzionamento
Gli elettrodi del tubo vengono collegati ad una sorgente ad alta tensione (catodo al polo negativo, anodo al polo positivo). Nel caso di croce in posizione verticale, i raggi catodici (elettroni) vengono accelerati dal campo elettrico e quelli non intercettati dalla croce colpiscono il fondo del tubo creando una zona luminosa (effetto fluorescenza per eccitazione degli atomi del vetro) al cui interno rimane l’ombra della croce. Ciò dimostra che i raggi catodici si muovono in linea retta e possono essere bloccati da una lamina metallica. Se successivamente si mette la croce in posizione orizzontale, i raggi catodici colpiscono la zona dove prima si trovava l’ombra, producendo una macchia molto luminosa a forma di croce, che risalta rispetto al contorno dove la fluorescenza è diminuita.
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IL PENDOLO DI NEWTON
descrizione
Il pendolo di Newton è un particolare pendolo , composto di varie ( di solito 5) sferette metalliche, aventi la stessa massa, appese tramite un filo sottile ad un sostegno ed allineate in modo da ottenere urti centrali, quindi quasi perfettamente elastici. Questo strumento aiutò a comprendere le leggi dell’urto elastico prima che venissero enunciati i principi della dinamica, oltre ad illustrare le leggi di conservazione della quantità di moto e dell’energia meccanica.
come si usa?
A sfere ferme, si sollevi la prima sfera, mantenendo tesi i fili con cui è sospesa, e la si lasci cadere. Essa urterà contro la fila delle altre: si osserverà che la prima si ferma, le intermedie non si muovono, e l'ultima parte verso l'alto, raggiungendo la stessa altezza da cui era partita la prima, e così di seguito. Se se ne lasciano cadere due, si metteranno in moto le due situate all'estremità opposta, e così via.
Durante il funzionamento del pendolo si verifica una successione di urti centrati tra sfere metalliche della stessa massa, che , in prima
approssimazione , può essere considerato perfettamente elastico, secondo le modalità descritte in precedenza. La prima sferetta, lasciata cadere dall'altezza H colpisce la n.2 ; come abbiamo imparato, la sfera n.1 si ferma mentre la n.2 parte con la stessa velocità. A sua volta la sfera n.2 colpisce la n.3 ; anche in questo caso la n.2 si ferma e la n. 3 parte con la medesima velocità. Il meccanismo si ripete fino ad arrivare all'ultima sfera che , non trovando ostacoli, parte con la stessa velocità che aveva la n.1 al primo impatto (trascurando le piccole perdite di energia sempre presenti). Il pendolo può quindi essere considerato come la verifica sperimentale della teoria degli urti elastici, in particolare del principio di conservazione della quantità di moto. Esaminando il filmato si può constatare come la sferetta n.5 raggiunga la stessa altezza da cui era stata rilasciata al sfera n.1 . Trattandosi di oggetti identici, con la stessa massa, questo fatto conferma anche la conservazione dell'energia meccanica del sistema. Naturalmente dopo alcune oscillazioni , per effetto dell'attrito presente nel sistema di sospensione, della non perfetta elasticità degli urti e della resistenza dell'aria, l'energia del sistema e quindi l'ampiezza delle oscillazioni diminuisce fino ad annullarsi. Nonostante ciò ad ogni oscillazione si può constatare che l'altezza raggiunta dalla prima e dall'ultima sferetta rimangono pressochè uguali. Trattandosi di un pendolino amatoriale , come visibile nelle foto, le sferette centrali , dopo la prima oscillazione , non rimangono perfettamente immobili, come dovrebbe essere. L'esperienza può essere ripetuta lasciando cadere due sferette contemporaneamente. Dopo l'urto dalla parte opposta si muoveranno due sferette contemporaneamente, con la stessa velocità delle due incidenti La quantità di moto del sistema rimane quindi invariata e vale Q = 2mV sia prima che dopo l'urto.E' inoltre possibile lasciar cadere le sferette di estremità su entrambi i lati contemporaneamente e dalla medesima altezza.
In questo caso le sferette rimbalzano in senso opposto con la stessa velocità mentre quelle centrali rimangono ferme. La quantità di moto totale del sistema prima e dopo l'urto mantiene evidentemente il valore zero. Q1 = mV -mV =0 Q2 = -mV +mV =0
curiosità storiche
È bene evidenziare che non sia stato Newton a ideare questo apparecchio, bensì Robert Hooke.Lo strumento primario possedeva tre sfere e usato per fare degli esperimenti dimostrativi durante delle
riunioni nel 1666 con la Royal Society.Solo dopo Newton ha pensato a come usarlo e impreziosirlo di altre palle, per dargli completezza e distinguerlo completamente da quello precedente.
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