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Bobine di Helmholtz

immagine delle bobine di Helmholtz conservate nel laboratorio di fisica del liceo“ Cuoco-Campanella”

Storia

Le bobine di Helmholtz prendono il loro nome dal fisico e fisiologo tedesco Hermann von Helmholtz nel 1849. Per la loro capacità di generare tra di esse un campo magnetico omogeneo, le bobine di Helmholtz furono utilizzate in molti strumenti come ad esempio galvanometri di precisione.

Descrizione

Nello spazio fra le due bobine e nelle prossimità del loro asse si genera un campo magnetico omogeneo. L'intero strumento poggia su una base in legno su cui sono fissati due zoccoli. Tra i due zoccoli vi sono due anelli in legno scanalati, dentro cui scorrono due bobine di rame, isolate tramite della seta. Inoltre, i capi delle bobine terminano a due serrafili e i due anelli sono fissati tra loro attraverso tre aste di ottone fissate perpendicolarmente. All'interno di questo strumento viene posto un tubo a fascio filiforme, costituito da un'ampolla di vetro di forma sferica contenente idrogeno a bassa pressione ed un cannone elettronico. Allo strumento è anche connesso un generatore di tensione, grazie al quale è possibile regolare il campo elettrico e il campo magnetico ed effettuare un'inversione di campo magnetico.

Funzionamento

Il cannone elettronico posto all’interno del tubo viene portato ad alte temperature ed emette elettroni per effetto termoionico che vengono accelerati grazie alla differenza di potenziale applicata. L’anodo, di forma conica, presenta sulla punta un piccolo foro che permette agli elettroni di uscire formando un fascetto collimato, attraverso cui è possibile notare la deviazione subita dalle cariche in presenza di campi elettrici e magnetici.

Esperienze possibili

Attraverso le bobine di Helmholtz è possibile osservare il comportamento delle varie particelle subatomiche, primi fra tutti gli elettroni (ma anche protoni, positroni ecc.), utilizzando il rapporto determinato sperimentalmente da Thomson: e/m, in cui “e” è la carica della particella ed “m” è la massa. Ad esempio possiamo vedere come un protone, a parità di intensità e verso del campo magnetico, va nella direzione opposta di un elettrone e compie una circuitazione con raggio minore rispetto a quella dell’elettrone. Le bobine di Helmholtz possono quindi avere lo stesso ruolo di una camera a nebbia, quello quindi di rintracciare vari tipi di particelle subatomiche. Le bobine di Helmholtz sono, infine, spesso combinate con uno spettrometro magnetico, uno strumento capace di deflettere particelle cariche grazie all’aiuto del campo magnetico (creato dalle bobine) con cui crea, per l’appunto, la forza di Lorentz necessaria a deviare i fasci di particelle cariche; le misurazioni di carica e massa che seguono sono poi realizzate dagli appositi sistemi di tracciamento. Questi ultimi, negli strumenti più all’avanguardia, sono in grado di determinare addirittura la percentuale di presenza di ogni singola particella; tuttavia, nello strumento presente all’interno del museo della scuola non sono inclusi rilevatori di questo tipo. Si può però studiare il fenomeno quantomeno qualitativamente data la presenza dei pomelli del generatore che hanno segnata una scala numerata, in modo da conoscere l’intensità del campo magnetico ed elettrico e legarla alla particella esaminata.

Sitografia

scuole/vincenzocuoco_napoli/bobine_di_helmholtz.txt · Ultima modifica: 2023/03/15 15:28 da alberto.genovesi