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Qualche consiglio didattico sul condurre un esperimento di fisica
di Fabio Panfili
Alcune premesse
- L’essenza di un esperimento è capire meglio il significato della grandezza da misurare e se il metodo di misura è valido indipendentemente dall’errore assoluto ottenuto. Nel caso (molto più comune di quanto si pensi) che si conosca a priori il valore della grandezza da misurare, se il risultato dell’esperimento è insoddisfacente è bene analizzare quanto si è fatto alla ricerca delle eventuali cause dell’errore. Si impara molto di più magari ripetendo l’esperimento variando una cosa alla volta o riflettendo sul metodo stesso. Inoltre è importante poter misurare la stessa grandezza con metodi diversi, qualora si possa fare.
- La scheda deve avere come obiettivo che chi la legge dovrebbe essere in grado di saper rifare l’esperimento disponendo ovviamente degli strumenti e degli oggetti adatti. Dunque il loro elenco deve essere meticoloso, così come la descrizione delle operazioni svolte.
- Quando si è sicuri di aver fatto quanto sopra si potrà dar inizio alla ricerca degli “errori assoluti”, tenendo ben presente che se la misura è indiretta bisogna calcolare “l’errore relativo” con le sue regole per poi ottenere quello “assoluto”! Se non lo si sa fare è meglio non farlo che inventarsi procedimenti fantasiosi.
- In un esperimento di fisica vi sono misure dirette e misure indirette (ho letto troppo spesso: “abbiamo calcolato la distanza”). Ma nel linguaggio scientifico non si scrive ad esempio: “Calcolare l’accelerazione di gravità g”!!! Quanto piuttosto “MISURARE l'accelerazione di gravità g”!!! Un titolo più preciso sarebbe: “Misura del valore locale dell'accelerazione di gravità g”.
Un modello di relazione
- Titolo;
- Scopo della misura;
- Strumenti e materiali usati;
- Disegni o schemi o foto (a illustrare il procedimento e il set-up sperimentale);
- Descrizione delle operazioni (procedura di misura);
- Dati raccolti ed elaborazione dei dati sperimentali;
- Eventuali tabelle e diagrammi;
- Ricerca di eventuali errori sistematici;
- Calcolo delle deviazioni casuali (errore statistico) (cercando di evitare la scorciatoia della semidifferenza, ma trovando prima gli errori relativi poi quelli assoluti);
- Conclusioni.
Qualche consiglio
Le premesse scaturiscono dall’esame di alcuni lavori già svolti nel LAB2GO.
Ho notato infatti che si da molta importanza all’associare “l’errore” al risultato numerico dell’esperimento, quando è ben evidente che il risultato ottenuto è probabilmente affetto da un vero e proprio errore sistematico dovuto a qualcosa insito nel metodo di misura.
Come primo esempio scelgo la verifica della prima legge di Ohm. Premetto che si presenta il paradosso di usare strumenti progettati e costruiti anche in base alla legge di Ohm. Dichiaro esplicitamente di dover trascurare per semplicità le resistenze dei fili di collegamento e quelle di contatto. Assumo di avere un ottimo alimentatore in C.C. e un buon sistema di regolazione della tensione ai capi della resistenza (semplicemente usando un dispositivo di regolazione potenziometrica con un buon reostato del giusto valore). Uso il metodo voltamperometrico e inizialmente non mi pongo il problema dello strumento da inserire a monte o a valle, che comporta inevitabilmente un errore sistematico che si può eventualmente correggere conoscendo la resistenza interna dello strumento. Scelgo come oggetto da esaminare un resistore a filo di manganina e procedo nella verifica. Terminata la quale ripeto la verifica su un resistore a filo di rame e mi accorgo che, se per gli ultimi valori di tensione scelti il resistore si è riscaldato sensibilmente, la prima legge di Ohm non è verificata!!! Dico questo perché la prima legge di Ohm vale solo se la temperatura del resistore in esame non varia durante la verifica! Bisogna ricordare che la resistività dei conduttori metallici aumenta all’aumentare della temperatura.
Propongo dunque di verificare la prima legge di Ohm su una comune lampadina a incandescenza da 12 V, passando dal filamento freddo (1 V) via via al filamento normalmente luminoso (12 V). Un tale esperimento mostra agli allievi un limite della validità della legge di Ohm e l’esigenza di misurare la temperatura del resistore durante la prova.
Prendo come secondo esempio la misura dell’accelerazione di gravità g, che non è una costante come si afferma persino nei titoli di alcuni lavori, ma che varia con la latitudine, con la conformazione geologica nelle vicinanze di chi la misura, e con l’altezza dal suolo. Ci si chieda quanto vale g in una profonda miniera, o addirittura al centro della Terra, o alla distanza dal suolo di un satellite geostazionario o sulla superficie lunare, di Marte, ecc. . Qualcuno confonde g con G, costante che compare nella legge gravitazionale di Newton.
Esaminiamo brevemente alcuni metodi elencati nei lavori.
Misura indiretta di g con una molla. Prima di far oscillare una massa appesa alla molla e misurarne il tempo di oscillazione, bisogna assicurarsi che la molla usata segue la legge di Hooke. Un buon dinamometro segue detta legge; si appenda la molla da usare in verticale e si provi ad allungarla, con il dinamometro agganciato all’estremità, tirando in basso lungo la verticale e osservando se il suo allungamento è proporzionale alla forza letta. O più semplicemente si appendano alla molla pesetti di ugual peso in numero crescente ecc. o anche pesi di peso diverso in ordine crescente. Se la molla segue la legge di Hooke si può iniziare l’esperimento, con molte oscillazioni verticali di piccola ampiezza e avendo scelto la giusta massa da appendere! Ma la massa della molla in oscillazione non disturba la prova?
Nella misura di g col metodo del pendolo semplice si raccomanda che l’ampiezza dell’oscillazione sia inferiore ai 10° e che, se si usa un cronometro azionato a mano, il numero di oscillazioni complete sia di almeno 20, riducendo in tal modo “l’errore” nella misura del tempo. Non si ecceda neppure nel loro numero altrimenti la resistenza dell’aria potrebbe influenzare la misura del periodo. Si faccia attenzione che il piano di oscillazione resti tale! Il filo è rigido? La massa del filo può influenzare la prova? E il modo di appendere il pendolo?
La misura indiretta di g con la rotaia a cuscino d’aria inclinata è però la più significativa. Nell’analizzare il perché i tempi misurati erano sempre minori di quelli attesi, dando risultati finali per g di 13 o 14 m/s², si è scritto nei lavori svolti dell’esistenza di una velocità iniziale che influenzava le misure dei tempi.
Il mio suggerimento è di analizzare i getti d’aria che tengono sollevato l’aliante. Bisogna chiedersi se, nella posizione inclinata della rotaia, anche i getti (che ne escono perpendicolari) possano contribuire ad aumentare l’accelerazione e di conseguenza diminuire i tempi di discesa.
Un getto d’aria inclinato ha una componente orizzontale non trascurabile. Si provi a mettere sopra la rotaia inclinata un foglietto di carta e osservare in quale direzione va. Una rotaia a cuscino d’aria posta in orizzontale è utile per studiare il moto rettilineo uniformemente accelerato, ma funziona ancora bene se è inclinata? Siamo sicuri che è adatta per la misura indiretta di g?
Qui è essenziale la seconda premessa: bisogna descrivere accuratamente le operazioni di misura. Infatti risulta chiaro che l’aliante aziona il cronometro quando interrompe il raggio luminoso diretto sulla fotocellula e bisogna capire se l’aliante può essere fatto partire più vicino possibile al raggio luminoso, per rendere trascurabile la velocità iniziale. Sempre ammesso che i getti d’aria non influenzino l’esperimento.
Qualcuno si è chiesto se la resistenza dell’aria possa influenzare i tempi di discesa, ma in tal caso essi sarebbero minori di quelli rilevati poiché l’accelerazione sarebbe minore.
Chi è tentato di usare una sfera che scorra su un piano inclinato, dopo aver letto gli esperimenti di Galileo, ricordi che i risultati ottenuti da Galileo non erano accettabili con una inclinazione superiore a 6°! La componente della forza peso lungo il piano genera sia l’accelerazione di traslazione sia l’accelerazione angolare della sfera e quindi non si può fare una misura indiretta di g misurando i tempi di discesa. Per gli allievi che abbiano studiato la conservazione dell’energia meccanica (quindi con perdite ritenute trascurabili) l’energia potenziale durante la discesa della sfera si trasforma in energia cinetica di traslazione ed energia cinetica di rotazione, mentre la misura indiretta di g richiederebbe la trasformazione di energia potenziale in sola energia cinetica di traslazione.
Per finire: agli insegnanti che non lo conoscono consiglierei un articolo di Elio Fabri: Elaborazione dei dati sperimentali: la cosiddetta “ teoria degli errori” da La Fisica nella Scuola XXVIII, 3, facilmente rinvenibile in rete.